Mi dicono che faccio fatica a concentrami, che sono iperattivo. E in parte è vero. Conosco un poco chi sono e quindi non mi faccio grossi problemi su questa questione. Va bene così. Un po’ ci sorrido sopra, un po’ faccio la vittima per ironia e un po’ me ne preoccupo. Ma non è questo il punto su cui voglio sostare un attimo in riflessione. Ovviamente se riesco a rimanere concentrato il tempo di queste dieci righe di scrittura. Noi ci concentriamo sui nostri dolori, sulle nostre fatiche; ci concentriamo perché pensiamo che questo è il modo corretto per vincere il dolore. Ma la parola concentrazione secondo me non va bene. Perché dico questo? Non perché io sono uno che fa fatica a concentrarsi e di conseguenza meglio giustificarsi così. Non per questo motivo. Perché allora non va bene concentrarsi? Perché la concentrazione fissa un punto e lo combatte, in questo modo divide tutto. C’è solo quel punto e basta. Sono concentrato sul mio progetto si dice, ma in questo modo si disimpara a vedere il tutto. Ci si focalizza un punto e ci si dimentica tutto il resto. e quanta fatica in quella battaglia per sconfifìggere quel punto. Anche io a volte faccio così: mi concentro su una questione perché la voglio risolvere e poi mi dimentico tutto quello che è collegato a quella questione. Così è anche con il dolore: mi concentro sul dolore che porto nel cuore e alla fine mi rendo conto che fa male e da lì non mi schiodo più. credo che la parola giusta non è concertazione ma raccoglimento. Questa parola mi da l’idea di una raccolta, di un mettere insieme tante cose. E’ accogliente il raccoglimento. Il raccoglimento non è la postura di chi si concentra, ma di chi raccoglie il mondo che ha attorno e lo raccoglie nella mente, nel cuore, nel corpo. Custodisco tutto, non disperdo niente. Custodisco il dolore e lo raccolgo insieme a tutto il resto della vita. Non concentrato ma raccolto. Ho letto questa piccola storia zen. Un gruppo di jazzisti sta andando in auto a suonare ad un concerto. La strada è piena di buche e uno di loro ad ogni scossone si lamenta, è concentrato solo sulle buche. L’autista si gira e dice con un sorriso da vero jazzista: suonalo, suonalo quello scossone. Suona il tuo dolore, non concentrarti su di esso.
Grazie don Sandro. Questa storia zen mi fa venire in mente che forse è quello che avviene nella tecnica attoriale/ teatrale: raccogliere e recuperare le tue esperienze e sensazioni di gioia, dolore e trasferirle al personaggio che stai interpretando e riviverle. Non solo concentrarti sulla situazione ma viverla.