Mi invitano a riprendere alcuni temi difficili sul futuro del mondo. sono amici con cui discuto di queste cose e poi da queste discussioni nascono delle letture. Anche queste mi sollecitano. Certo il mondo con tutto quello che porta con sé di questi tempi mi preoccupa e mi sollecita a tutta una serie di spunti di riflessioni. Non penso immediatamente alla guerra, alla violenza, anche se alla fine arriviamo sempre qui, perché questa della guerra è l’estrema conseguenza di tutto quello che stiamo vivendo, o meglio di quello che abbiamo scelto di vivere. E allora parto da qui. Da una beneficenza che non cambia il mondo, ma che moltiplica le disparità. Guadagno soldi nel mondo dello sport o dello spettacolo e apro una fondazione, ovviamente deve essere ben pubblicizzata, si deve sapere altrimenti non va bene. Questa non è giustizia verso chi soffre, ma è ancora una forma di capitalismo mascherato di bontà. E quindi parto proprio da qui. Capitalismo e beneficenza si intrecciamo tra di loro, al punto tale che la beneficenza sta diventando sempre più una forma di capitalismo. Ho scoperto che questa forma di beneficenza pubblicizzata si chiama capitalismo culturale. E mi spiego. Attraverso una fondazione benefica, una donazione, non sto soltanto aiutando qualcuno, ma penso di aver sistemato la parte buona della mia vita che è quella che dice di far sapere che ho aiutato qualcuno, che il mio gesto è servito a…. Attraverso una donazione, una fondazione benefica non soltanto diamo il nostro contributo al bene del mondo, ma ci garantiamo di uscire da quella logica del consumo, ci sembra di fare qualcosa di buono, ci sembra di fare qualcosa di buono per l’ambiente, per i poveri, per i malati, insomma ci garantiamo che possiamo essere bravi. In questo modo ci sembra di rimediare al male del mondo, in realtà in questo modo mettiamo in gioco solo due elementi che non cambiano le condizioni di fondo. Il primo elemento è quello di un vago sentimentalismo che mi fa dire aiuto un bambino, ma non cambio le condizioni per cui quel bambino sta male. La seconda questione è che non cambia la condizione di fondo di un capitalismo, che grazie alle donazioni e fondazioni, sembra avere un volto più umano. Forse dovremmo pensare a delle fondazioni che praticano un’economia sociale, un economia di comunione.