Questa parola è molto difficile da maneggiare. Tutti sogniamo la nostra autonomia. oggi abbiamo anche l’autonomia differenziata. Ma anche questa parola rischia di diventare parola stanca. In nome di un autonomia troppo accentuata abbiamo messo insieme il mito dell’uomo che si fa da sé. Che si fa talmente da sé che alla fine rimane solo il sé stesso e non si va molto oltre. Un essere autonomo che francamente un po’ mi ha stancato. La cosa interessante è che noi affianchiamo con una strana naturalezza a questa parola autonomia l’altra parola: comunità. E poi ci accorgiamo che le due cose non stanno insieme: o c’è troppa autonomia o c’è troppa comunità. Forse con autonomia alla fine si è privilegiato l’asse dell’intimismo, di un individuo che entra in competizione, non si è più in grado di considerare l’altro asse: quello della società, della comunità, salvo poi denunciarlo o rivendicarlo quando le circostanze lo richiedono. Faccio un solo esempio: la lettura della sacra scrittura rischia di diventare intimistica, la mia lettura, quello che sento nel mio cuore. Che va bene, ma che rischia di non essere più messa in comune con tutte le altre letture o che addirittura rischia di non essere più aderente al testo originale. La mia interpretazione autonoma, non immediatamente confrontabile con il testo originale e meno ancora con le altre interpretazioni. In questa logica a volte diventa facile scegliere le pagine che ci piacciono, che rendono ragione della nostra autonomia. E di queste scelte ne facciamo un’infinità. Credo davvero che la parola autonomia è parola stanca che a volte genera uno star male perché ci è venuto a mancare quell’asse comunitario e sociale.
Vero! Dovremmo tornare a parlare di libertà condivisa.