Non sorridete per il modo con cui inizio questa riflessione, ma in giornate come quelle di ieri così piene di cose e così caotiche dove alla fine ti sembra di non aver tirato insieme niente, sento il bisogno di un attimo di tranquillità. Non è la pennichella dopo pranzo, ma un attimo tra me e il faraone, il mio gatto, la cui storia andrebbe scritta in un libro. Diciamo che in casa ci sta bene anche lui, dopo che era stato abbandonato e riaccolto, prima all’agro e poi a Rosciano. Ci mettiamo li tranquilli io e lui sul divano per un attimo e lui se ne sta lì beato a ronfare e io mi godo sto attimo tranquillo. Quando termino questo momento strano, ma simpatico mi alzo, lui il faraone mi guarda un po’ perplesso e io mi dico, dai che riprendiamo a fare qualcosa. Ma da qui voglio arrivare al mondo interiore, al profondo del mio cuore. In attimi come questi riesco a capire cosa vuol dire non solo pensare, ma percepire. Succede non solo con il gatto, ma con la natura quando mi lascio trasportare dalle percezioni, succede con il mio cuore quando smetto di ragionare, di pensare e cerco di sentire, di percepire, di prendere consapevolezza di chi sono e di che cosa mi ci circonda. Anche nel rapporto con Dio, a volte non cerco un pensiero, una meditazione, una riflessione, ma un sentire Dio dentro di me, cerco di essere consapevole della sua presenza buona. Ho detto cerco perché questa percezione è propria di un attimo e poi fugge via sovrastata dal pensiero e dal fare. Riuscire a fermare quell’attimo genera una forza di vita incredibile. Il problema è proprio fermare quell’attimo. Percepire con i sensi, con il corpo prima di tornare ad essere il factotum di mille cose. La percezione non stanca. il pensare stanca. Il percepire non produce niente, ma ci rigenera. Provate a stare nella natura per un po’ non a pensare ai rumori, ma a sentire con il cuore i rumori. Provate a guardare la natura e non a fare mille considerazioni su quello che vedete, ma a guardare con gli occhi del cuore. La cosa più difficile quando cerco di sentire e di percepire è quella di rimanere nel tempo presente, nel presente. In genere quando pensiamo siamo proiettati sul futuro, sulle cose che dobbiamo fare, oppure siamo orientati sul passato, sulle cose accadute. Il percepire ci chiede di stare nell’adesso, nel momento presente. Questo per me è difficilissimo. Le donne e gli uomini abituati a percepire e a sentire a seconda del tipo di tradizione e di pensiero chiamano questo percepire e stare nel tempo presente in modi diversi. I cristiani chiamano questo modo di essere contemplazione. Essa è un esperienza dove non facciamo niente, dove non giudichiamo nessuno, ma dove accogliamo tutto nel nostro cuore, imparando a diventare una cosa sola con quanto percepiamo. Tutto quanto c’è ha diritto di esistere e noi nella contemplazione impariamo ad ascoltare il tutto e a diventare una parte in comunione con il tutto.