Dopo che abbiamo riaperto le chiese tutto è tornato bello. Ma con il lunedì noi riprendiamo il nostro lavoro. E per tanti non è poi così bello. Però qui non voglio parlare del lavoro come questione del lavoro, come crisi del lavoro, come cambiamenti del lavoro. Voglio, attraverso questo pensiero arrivare ad un’altra questione: la giustizia del lavoro. Ci arrivo al concetto che voglio commentare attraverso un ragionamento contorto. In questi tempi guardo spesso e volentieri come uno lavora. Vedo mani che danzano una danza elegante nel maneggiare degli attrezzi, e allora penso che quella persona che danza con le mani è contenta del suo lavoro. Vedo mani che si muovono a scatti, nervose, e allora penso che quella persona è arrabbiata. Vedo mani che si muovono con rassegnazione, come a dire che non c’è di meglio che quel lavoro. E vedo mani che si muovono con abilità, con destrezza come a dire di uno che sa fare bene il suo lavoro. Questo ragionamento vale anche per chi fa lavori non sono manuali. Guardando gli altri come lavorano ho pensato: ma come si può parlare di giustizia sul lavoro? Cosa significa tale parola? E’ solo una questione di dare lavoro a tutti? Di dare tutele a tutti, garanzie e sicurezza? Non credo che la giustizia sul lavoro è solo questa roba qua, anche se è un buon punto di partenza. Non è forse dare a tutti la possibilità di far danzare le mani, cioè di vivere in serenità anche un’esperienza come quella del lavoro? Non è forse quella di fare in modo che tutti possano avere pari dignità nel lavoro? O forse ancora, che qualcuno si prenda la briga di accompagnare un giovane a fare esperienza di lavoro, diventando il maestro che insegna con amorevolezza l’arte di un lavoro? Il dalai lama scrive: “Ciascuno di noi deve imparare a lavorare non solo per sé, per la sua famiglia o la sua nazione, ma a favore di tutta l’umanità.” Credo che la giustizia nel mondo del lavoro è questa cosa qui: fare in modo che quello che faccio diventi un lavoro a favore dell’umanità e non solo una fonte di guadagno, di interesse. Il mio piccolo lavoro quotidiano deve essere un dono per tutti, deve far crescere in umanità e bellezza ogni uomo. Non serve un lavoro che è solo fonte di interesse, profitto, guadagno. Questo tipo di lavoro non fa danzare le mani, ma le fa andare a scatti, perché troppo tesi verso il profitto e nervosi perché ci sembra che non funzioni niente. E non voglio che danzi solo la mia vita, ma la vita di tutti, perchè tutti collaboriamo con il nostro lavoro a questa grande opera che è l’edificazione del creato. La grande questione sociale non è solo dare lavoro, ma dare un lavoro dignitoso per la persona umana. Anche qui ci accorgiamo di quanto dobbiamo cambiare. Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia, per molti è diventato un tormento che non fa più danzare la vita, tormento di non avere un lavoro, tormento di pensare che il mio lavoro non giova a nulla e a nessuno, tormento perché il mio lavoro non è per una nobile causa. I miei ragazzi mi dicono perché lavorare? Per guadagnare soldi. Io dico per contribuire a creare un mondo più bello.
Grazie, queste riflessioni rendono dignità alla vita.
Ma vale ancora la parola di Genesi :guadagnerai il pane col sudore della fronte?
Il lavoro non come castigo ma come contribuzione alla creazione ancora in atto.
Se penso al mio lavoro di maestra, penso ad una danza continua…. A volte vivace, a volte scatenata, a volte lenta, sempre appassionata. In questo tempo di lavoro a distanza, in gergo DAD ( didattica a distanza), ripenso a quanto amo il mio lavoro, del quale sì, sono stanca perché sono 40 anni che danzo, a volte a ritmi non proprio miei, ma de quale sono profondamente grata. Non è solo il pane quotidiano mio e dei miei figli, è terra fertile di apprendimento, di scambio, di esperienze, di umanità, è un humus pieno di tutto… Che rigenera la stessa sostanza di cui è fatto ogni giorno, perché ogni giorno è diverso e ogni giorno le persone si pongono diversamente, con le loro gioie, le loro fatiche, le loro speranze, le loro rabbie, le loro sconfitte, le loro vittorie. Dico sempre che noi maestre siamo mamme, sorelle, amiche, educatrici, psicologhe, assistenti sociali, sportelli di accoglienza e di ascolto…. Tuttologhe… Nostro malgrado. Ma la danza è assicurata! E la danza riempie la vita di bellezza. E anche quando sei stanca di danzare, non puoi non vedere la bellezza di chi ancora è in movimento, di chi danza da solo o in compagnia anche lontano da te. Perché la bellezza non ha bisogno di interessi e giri di denaro…basta a se stessa e riempie la vita di gioia. Io sono molto fortunata e ringrazio Dio per questo, perché non ho meriti particolari, ma mi riconosco nel credere e l’amare il mio lavoro e mi riconosco negli sguardi dei miei bambini, in tutti. Anche in quelli stanchi, a volte sfiduciati, a volte arrabbiati, che però imparano a rilassarsi quando sentono di essere “compresi”, accolti ed amati per ciò che sono, anche se attraversano momenti no.
Bellissima riflessione don Sandro e altrettanto lo è la riflessione di Elena che condivido essendo anche io insegnante… La pazienza ci conduce ogni giorno nella dimensione nell’accogliere e guidare i bambini affinché colgano la bellezza dello stare insieme nell’imparare insieme. A scuola io aggiungo che impariamo a lavorare insieme condividendo i pensieri, le emozioni e i saperi. Solo così possiamo costruire un futuro migliore: la condivisione è la base di una nuova dimensione di vita … senza questo presupposto sarà difficile cambiare.
Miriam