Sono in casa che traffico tra mille cose, dal frutteto mi chiamano perché è sciamato un alveare, mi dicono che è piccolo, ma è sciamato. Ritengo la cosa praticamente impossibile, a fine agosto le api non possono sciamare. Ci penso un attimo e intuisco il motivo di tale sciamatura. Prendo l’attrezzatura, chiedo a qualcuno che gira per casa di preparare il pranzo e vado nel frutteto. Vedo il piccolo sciame attaccato ad un ramo di un pruno e inizio l’operazione di raccolta delle api. Entrano velocemente nella cassetta. Mi dico: tutto a posto, posso tornare a preparare il pranzo (che poi alla fine lo fanno quasi sempre gli altri). invece le api escono dalla cassetta e volano su un altro ramo. Decisamente questa cosa è nuova. Non l’avevo mai vista. Riesco finalmente a recuperare lo sciame. Nel pomeriggio passerà Roberto a sistemare il tutto. Intanto che rientro mi domando che cosa è successo, perché una sciamatura a fine agosto e perché quell’uscita veloce dalla cassetta per cercare un altro ramo. Ripercorro tutte le procedure e mi dico che ho fatto le cose bene. E allora? Ecco la spiegazione. quest’anno la malattia della varroa sta picchiando duro e a volte le api dentro l’alveare ragionano così: meglio fuggire via che morire nella casetta. La sciamatura-fuga è come l’ultima estrema possibilità per non morire. Penso a chi da quasi un anno si sposta di qua e di la in un moto perpetuo dentro la striscia di Gaza per non morire di bombardamenti, penso alla fuga come all’ultima possibilità della vita e capisco che non si può vivere di continue fughe, ma a volte non rimane che questo tentare l’ultima fuga. Un’ultima considerazione: a volte anche io vorrei tentare l’ultima fuga per non rimanere come soffocato dal vuoto o dal troppo. Fuggire, resistere, restare, riprovare. Un bel tema su cui riflettere.