Una seconda parola che ha un significato immenso, ma che rischiamo di fraintendere è la parola condivisione. Dobbiamo condividere, dobbiamo impegnarci nella condivisione della vita, delle parole. E via dicendo. così diciamo e predichiamo e insegnamo. A parte che di questa parola amo di più la versione boliviana: compartir, compartire. Spartire il pane: questo è il senso di compartire. Amo di più questa versione perchè mi sa di mensa, di tavola fragrante, di pane che basta per tutti. Perché metto questa parola tra quelle che generano un grande equivoco? Perché diciamo che dobbiamo condividere e poi ci sono almeno due condizioni per cui questa condivisione non sta in piedi. La prima: condividiamo i progetti, ma i progetti arrivano già pronti sul tavolo, pensati da una regia. Questa non è condivisione di idee e progetti, ma disponibilità magari anche buona a dire: questa è la strada giusta su cui lavorare, quindi facciamo così, perché io ho una responsabilità. Per descrivere il secondo equivoco uso un’immagine: condividiamo la stessa tavola, ma poi tu che sei diverso da me ti siedi su un tavolo diverso. La condivisione, o la compartecipazione per essere vera per me prevede tre caratteristiche: serve una grande dose di gratuità: non pongo limiti alla grazia e al dono che mi arriva tra la mani e lo accolgo. Serve che in qualche modo ci siano un scambio di doni, di parole, di interessi: io imparo da te e tu impari da me: insieme impariamo e cresciamo. E la terza condizione: vale di più la relazione che costruiamo che l’agire solo per un fine. Non possiamo dimenticare quell’antica verità della condivisione che dice che ascoltare un amico ha un valore infinito perché tale ascolto non può essere quantificato. Compartire il pane, la tavola, i progetti, le idee, i dolori e le gioie. Allora sì possiamo parlare di condivisione