La profezia va a finire. Anzi meglio dire che le mie lettere a Geremia vanno a finire, perché la profezia non finisce mai. È un fiume che scorre dentro il mondo e dentro la chiesa. A volte in modo impetuoso, altre volte in modo carsico, ma la profezia è una sorgente che non si esaurisce mai. Perché il mondo ha bisogno di profezia, la chiesa ha bisogno di profezia, senza di essa il mondo e la chiesa non hanno futuro. Quante cose vorrei chiederti ancora caro Geremia, quanti dialoghi, domande mi sono rimaste nel cuore. Sei uno che mi ha affascinato. Ogni tanto prendo il libro sacro e mi rileggo le tue parole. E mi affascinano questa tue parole, mi feriscono, mi lasciano un segno dentro. Tutto questo per il tuo coraggio, per la forza della tua parola. Ti saluto con un invito, con una richiesta: rimani come sentinella che scruta l’alba, che porta una buona notizia. Sai noi umani vorremmo passare dalla notte al giorno pieno, ed invece il creato ha come inventato un tempo di passaggio: prima l’aurora poi l’alba poi il giorno pieno. Un rito di passaggio. Io credo che tu Geremia, come ogni profeta ti collochi in questo tempo di passaggio. Noi stai dentro il pieno giorno e non stai nemmeno dentro la notte. Sei lì a ricordarci che l’uomo ha bisogno di un passaggio, di una rinascita. Stai come una sentinella che nella notte scruta l’orizzonte che ci può indicare dove andare durante la notte, ma più ancora che sa dire che cosa resta della notte, quanto manca al giorno pieno, quanto manca al giorno nuovo. E così le tue ultime parole dette durante l’esilio di Babilonia dicono così: e dirai: “Signore, tu hai dichiarato di distruggere questo luogo, perché non ci sia più chi lo abiti, né uomo né animale, ma sia piuttosto una desolazione per sempre”. 63Ora, quando avrai finito di leggere questo rotolo, vi legherai una pietra e lo getterai in mezzo all’Eufrate 64dicendo: “Così affonderà Babilonia e non risorgerà più dalla sventura che io le farò piombare addosso”». Fin qui le parole di Geremia. Ma il testo profetico finisce con una parola di speranza. Nella notte della violenza, dell’esilio emerge, come una parola che è alba di un qualcosa di nuovo; il tuo libro non finisce con una condanna, ma con una luce che apre il futuro. Eccole queste parole: Ora, nell’anno trentasettesimo della deportazione di Ioiachìn, re di Giuda, nel dodicesimo mese, il venticinque del mese, Evil-Merodàc, re di Babilonia, nell’anno in cui divenne re, fece grazia a Ioiachìn, re di Giuda, e lo liberò dalla prigione. 32Gli parlò con benevolenza ….. 33Gli cambiò le vesti da prigioniero e Ioiachìn prese sempre cibo alla presenza di lui per tutti i giorni della sua vita. 34Dal re di Babilonia gli venne fornito il sostentamento abituale ogni giorno, fino a quando morì, per tutto il tempo della sua vita”. La luce del giorno nuovo è la benevolenza. Che io impari da te, caro Geremia l’arte della benevolenza.