oltre

di | 11 Aprile 2021

Passo una giornata tranquilla. Sistemo le mie cose, preparo la predica, Passano alcune persone per parlare un po’ di alcuni progetti, di alcune idee per adolescenti e giovani. Li definirei progetti tra sogno e realtà, che io traduco nel cercare il bene possibile. Altre persone invece mi portano le loro fatiche. E provo ad ascoltare anche quelle. Niente di particolare, ma è sempre buona cosa lasciare la porta di casa aperta in modo che se uno vuole può entrare e parlare un po’, lo può fare senza sentirsi a disagio.   Mi rendo conto che non è sufficiente dare un lavoro, pensare un progetto, realizzare opere anche belle e grandiose.  Sento che c’è come un oltre che è sempre da scovare, da rintracciare nei meandri delle tante cose che facciamo. so bene che se non riesco a trovare quell’oltre manca sempre qualcosa alla pienezza della vita. Mi rendo  che vi è come una inespressa capacità ad arrivare al cuore, al senso dell’esistere. Chi passa per casa non viene a dire cerco il senso del mio esistere, nessuno lo dice in maniera così esplicita.  È come quando mangi, nessuno si pone dei grandi problemi di senso, mangia e basta. Ed invece pensate anche solo a chi mangia sempre solo, a chi mangia imboccato in un letto di ospedale. Dietro quel cibo si nasconde a volte un desiderio grande di vita, di pienezza, di compagnia. direi che ogni cosa che facciamo, ogni relazione che viviamo ci spinge sempre oltre la nostra esistenza. Anzi, più che oltre ci spinge verso quel santuario sacro che è il nostro cuore. Quando passa qualcuno e lascia lì le sue storie come prima cosa sento il dovere di mantenere il massimo rispetto per ogni parola narrata. Non voglio dare consigli, neanche quando sono richiesti, ma cerco di aiutare ciascuno ad arrivare al cuore della vita. Ascolto, mi arrivano delle emozioni e cerco aiutare a leggere quelle emozioni. A volte in questi racconti incontro grandi ferite e qui mi sento come profondamente impotente, impossibilitato a curare quelle ferite. So che devo mettere in gioco una vicinanza, una cura attenta e niente di più. So anche che non posso pretendere di curare tutte le ferite, non sono onnipotente e onnipresente.  Quando lasci la porta di casa aperta le persone arrivano, si fanno sentire, raccontano e poi se ne vanno. Allora io offro questi racconti a Dio perché la sua mano misericordiosa possa curare tutte le ferite dell’umanità. dunque ricordatevi, la porta è aperta e uno spazio per due parole c’è sempre, sperando sempre in due parole che sanno andare oltre, due parole che arrivano al cuore della vita.

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