
Nell’orto del c’era una volta mi è come sfuggito un particolare, un enorme particolare. Ero così preso dalla cura che su questa faccenda non ci avevo mai pensato e fatto un minimo di riflessione. E sì che don Roberto mi aveva più volte indirizzato su questa strada, ma io non ci ho visto niente, o poco almeno. Ogni tempo porta con sé scoperte, intuizioni, cose buone che una volta venute alla luce vanno approfondite e tenute da conto. Vanno curate appunto. È l’orto di questo tempo che mi ha come messo su questa strada. O forse è la mia vita che mi ha come spinto in questa direzione. Scrivendo queste cose che sto per scrivere e che vorrei approfondire sono ben cosciente che la mia è solo un’intuizione che meritata tanta attenzione che vorrei avere, ma che per tanti motivi in questo momento faccio fatica a curare con attenzione. L’idea è quella dell’ora et labora del monacale mondo dei monaci benedettini e non solo. Mi rendo conto che questa preghiera e questo lavoro è come un respiro, il respiro della vita. ogni respiro a come bisogno di due momenti: inspirare e espirare. L’orto di adesso mi suggerisce che non è necessaria solo la cura, ma anche mettere in atto questi due movimenti. Traduco nella vita quotidiana questi due movimenti con il lavoro dell’orto, il lavoro in generale e il lavoro della preghiera. l’orto di adesso non è solo da curare, non è solo spazio di produzione, ma mi insegna a scandire i due ritmi della vita: il lavoro e la preghiera. ci entro nell’orto di adesso e quando ci siamo dentro tutti a lavorare ci sento il ritmo del lavoro. non un lavoro esagerato, ma un lavoro sì. Ci entro anche da solo ogni tanto e allora sento un altro ritmo, quello del silenzio, che tra l’altro in questo tempo della mia vita faccio fatica a reggere. Ci entro da solo nell’orto di adesso, al massimo ci entro con il gatto faraone, ma quando ci entro da solo sento un altro ritmo che non è il lavoro, il ritmo del silenzio e dell’orazione.