Viene un amico a Rosciano. È appassionato di telescopi, di stelle, di pianeti, di cieli infiniti. Arrivano anche degli amici per vedere le stelle, per scrutare il cielo. Guardiamo la luna con i suoi crateri, le sue pianure, bello, molto bello. Poi passiamo alle stelle, qui la cosa mi affascina di più. Ma ci sono due inconvenienti: le nuvole che vanno e vengono e le luci dei lampioni che non permettono una perfetta visione. Mentre per le nuvole non posso farci niente, per i lampioni un po’ mi arrabbio, ma anche qui non posso fare molto, si chiama inquinamento luminoso. Le luci ci stanno rubando il cielo. Posso dire che le stelle che ho visto sono un incanto, un sogno. Guardo questo cielo e mi dice il mio amico che esiste anche un cielo profondo che non vediamo ad occhio nudo; vuole mostralo, ma le nuvole e le luci non ce lo permettono. Stelle, luna, galassie, cielo profondo un mondo che si apre davanti a noi, sopra di noi. Ma che forse sta dentro di noi. Ma noi non siamo più in grado di unire, tenere insieme cielo, terra, natura, uomo, tecnologia. E allora il nostro cuore è diviso, il nostro mondo è diviso. Penso a chi migliaia di anni fa ha iniziato a scrutare il cielo nei grandi deserti del medio oriente. Era così innamorato di quel mondo che ad ogni stella dava un nome che era un sogno, un desiderio, un cammino. Nascevano le costellazioni che univano il cielo formando disegni da sogno. Oggi chiamiamo le stelle con delle sigle, del tipo gsc12347632, che non so proprio cosa voglia dire. L’uomo antico tenendo insieme cielo a terra dava nomi da sogno: Cassiopea, andromeda, sagittario, sole, luna. Un incanto stellare mi ha fatto non solo sognare, ma soprattutto mi ha fatto pensare che noi moderni facciamo fatica a sognare e desiderare, noi procediamo per sigle. Dove sta l’unità del creato? Forse in una sigla o in un sogno?