
Il pensiero riguarda sempre i poveri e la relazione di aiuto con tutte quelle persone che sono in difficoltà. La domanda che mi sono fatto sollecitato anche da alcuni eventi che mi sono capitati e da alcuni dialoghi su tali eventi con delle persone è la seguente: fino a che punto mi posso spingere nella cura e nella vicinanza alle persone, ai poveri a chi è solo? E butto lì quanto ho raccolto di opinioni e di pensieri al riguardo. Ho raccolto, ma non ho messo a fuoco niente. Fino a che punto possono donarmi? Dove sta il limite tra una relazione di aiuto e una forma di dipendenza? Fino a che punto devo lasciare andare in autonomia o invece devo fare in modo di esserci? Fino a che punto, dove sta il limite che mi fa dire qui mi fermo perché non ci riesco? Sono domande che mi hanno posto a cui non ho grandi risposte. In questo momento mi sento di dire che esiste un momento che chiamo emergenza e allora devo intervenire, non posso girarmi dall’altra parte e poi esiste un percorso più lungo che richiede vicinanza e autonomia insieme. Mi rendo conto anche di questo particolare che in questo tempo sono sempre in emergenza e quindi intervengo sempre. Sarà sbagliato? Ditemelo voi…
Non é sbagliato, il primo aiuto non si può delegare, é da dare di persona. Poi arriva la speranza, solo dopo, che ci sia qualcun altro a provvedere a seguire ad aiutare.
Sono d’ accordo con te, nel momento dell’ emergenza dobbiamo esserci e io per prima, forse sono assente.
Ma poi una volta incamminati si deve stare a guardare e spronare a perseverare nella giusta direzione, che a volte non viene nemmeno scelta.
Dipende anche dalla vocazione che ognuno di noi ha assunto nel proprio cuore. La mia prima vocazione è la famiglia, anche nelle famiglie ci sono povertà e fragilità e lì sono chiamata ad esserci. Poi ci sono molte altre povertà intorno a noi e si deve cercare di esserci senza farsi rubare la vita.