Sono un educatore? Ci provo, anche se non so se ho la stoffa dell’educatore. A volte uso il buon senso, attenzione, non l’istinto, ma il buon senso. Son un insegnante? ci ho provato per tanti anni, ma con scarsi successi. Sono un maestro? Non chiamate nessuno maestro, perché uno solo è il vostro maestro, il padre vostro che è nei cieli, ma tra di voi siate fratelli, così dice la parola sacra. Sono forse padre spirituale? Ancora la parola sacra: non chiamate nessuno con il nome di Padre… scrivo queste cose perché in questi giorni più volte mi è capitato di tornare sull’argomento. Certo che sono educatore, certo che sono maestro, insegnante e padre, ma con alcune avvertenze. Come prima cosa ci vuole come una doppia consapevolezza: la prima è quella dell’umiltà. Ci vuole umiltà per insegnare e accompagnare. Ci vuole l’arte del fare nel nascondimento, ci vuole semplicità grande per essere maestro. La seconda questione è quella che ogni giorno prendo consapevolezza dei miei limiti, delle mie incapacità, dei mie errori, ma più ancora li so anche ammettere e dichiarare. Senza queste due consapevolezze non posso essere educatore, maestro, padre, insegnante. Umiltà e senso del limite. Ma c’è una cosa ancora più profonda che voglio sottolineare. È quella cosa che mi porta a dire, che io educo nella misura in cui mi lascio educare dagli altri; insegno nella misura in cui apprendo dal mondo, dalla vita, dall’umanità. Io sono maestro nella misura in cui l’altro è maestro della mi vita. e sono padre nella misura in cui accolgo il mio essere figlio che ha di fronte a sé un padre. I giovani mi possono insegnare, i giovani possono essere i miei educatori e maestri e padri. E allora mi lascio istruire da loro.