Riprendo il tema di che cosa lasceremo per il domani da un altro punto di vista. È il punto di vista di uno come me che ogni giorno deve lasciare parole attente, precise, cariche di speranza e che non sempre ci riesce. E faccio questa riflessione partendo da un dialogo surreale, ma vero. Un ragazzo arriva e mi dice: “ho scritto una canzone.” Ed io rispondo: “posso ascoltarla.” E lui: “buttata via perché fa schifo.” Ed io insisto: “non ci credo che l’hai buttata via.” E lui, faceva: “talmente schifo che l’ho cancellata. Tutto nella mia vita fa schifo.” In apparenza tutto finisce qui. Posso mettere nella casella del discorso da adolescente queste parole. ma non piace. Non voglio lasciare sospeso per aria questo dialogo, ne tanto meno dire a me stesso: tutti così gli adolescenti. Ma adesso viene la parte migliore del dialogo. Il vento di ieri ha spezzato dei rami della pianta della felicità, o meglio del tronchetto della felicità. Proviamo a ripiantare i rami rotti per vedere se per caso riattaccano. Mi viene un’idea. Chiamo il ragazzo che ha scritto e buttato via la canzone che fa schifo e la cui vita fa schifo e faccio una proposta. “portati a casa questo ramo della pianta della felicità che abbiamo trapiantato e prenditene cura, vediamo se riesci a farla diventare grande.” Risposta: “ ma io non so curare le piante, mi fanno schifo, e poi io non sono capace di fare niente. Tienitela tu e curala tu”. Risposta: “ma io ho già la mia pianta da curare, mi serve che qualcuno mi aiuti” ancora risposta negativa. Si va avanti così per un po’ tra: mi fa schifo, non sono capace di fare niente e prova a vedere se ce la puoi fare, lancia una sfida e come ti prendi cura della pianta puoi prenderti cura di te stesso. Mi accorgo che scado nella predica da prete e allora cambio registro. Vedo la sua educatrice e dico: portatela nel vostro centro e curatela insieme. la ragazza mi guarda e mi dice: mi hai fregato adesso non posso più tirarmi indietro, lo devo fare.” Ed io rispondo: “sono un prete palloso, ma le cavo e sono più sgamato di quanto pensi” mi guarda, sorride e se ne va con la pianta. Prima di entrare in macchina torna indietro e mi dice: “ non sei un prete palloso, ma con la pianta mi ha fregato, adesso mi tocca curarla. Comunque belle parole” questo è il dialogo. Ci ricavo una cosa: che parole lascio ai miei ragazzi, ai giovani, agli adulti, ad un anziano? Prediche o parole di bellezza? un ultima domanda ma era una ragazza o un ragazzo? questo rimane un segreto.