Un mio amico dice in un incontro: serve una casa fisica e simbolica, casa che riassuma tutto un pensare e un agire. una casa che diventi riferimento per tante persone. Una casa insomma, come sono tutte le nostre case. Eccola la casa, quella della foto. La cascina. Basta questa per dire che una casa esiste. È seminascosta da questa pianta, mi sembra un noce. Seminascosta perché lì la vita si svolgeva senza esibizioni. C’era la vita quotidiana punto e basta. Seminascosta perché portava con sé il segreto e il pudore di mille storie. Seminascosta perché era semplice e non aveva bisogno di niente altro che di esistere. Nemmeno google maps riusciva a trovarla. Ma non era estranea al mondo; lì il mondo ci entrava tutto e ci entrava perché lo si lasciava entrare, perché la casa si interessava delle cose del mondo, le aveva a cuore. A volte più che un residente mi sembra di essere un richiedente asilo. Condizione ottimale per stare in basso, condizione perfetta per non trattenere niente, forse trattengo amici, ma questa è altra storia. Eppure cerco residenza per fare sintesi. Mi serve una casa per stabilire alleanze che vanno rinnovate e rifirmate sempre, ogni giorno. Mi serve una casa per sentirmi a casa. Come era la cascina. lo dichiaro: sono contento, sono pellegrino, sono, esisto. Un giorno l’uomo decise di passare da nomade a stanziale, prima pose una tenda, poi ci costruì una casa, poi alla fine divenne cittadino e perse il desiderio del nomade che guardava le stelle e sognava. Ditemi se si può essere cittadino e nomade insieme? E non giriamo la frittata dicendo cittadino esteriormente e nomade nel cuore. Serve una casa dice il mio amico, una casa fisica e simbolica. Non mi serve un salone per riunioni, mi serve una casa. Per inciso: dico agli amici che va tutto bene e di non preoccuparsi, sono nomade nei piedi e nel cuore. ma quando sento parlare di casa mi prende la nostalgia di una cascina.