Un incontro di ieri e un incontro di oggi mi hanno messo addosso un po’ di nostalgia e di paura. Si è parlato di Agro e della visita notturna che ho fatto qualche tempo alla vecchia cascina. E poi oggi non so come mai ho parlato con dei ragazzi delle piante e della loro capacità di comunicare con il creato. E alla fine sono venuti a galla alcuni strani pensieri. Avevo all’agro un bellissimo ciliegio, era vecchio, aveva visto passare penso tutta la storia della comunità. Quando ero in aria ci salivo sopra e stavo lì un po’, stavo lì sopra quel ramo sicuro e un protettivo. voi capite bene che ci salivo sopra tante volte. Poi rientravo in casa e trovavo l’albero -monaco che era don Roberto. Così si definiva: albero – monaco. E nello studio del don Roberto terminava il mio sfogo, lui era sicuro, un po’ meno protettivo del mio ciliegio. Forse era uno che diceva quelle parole che permettevano di ridimensionare le mie fatiche e che rimettevano nelle mie mani le responsabilità che mi dovevo prendere. Quell’uomo che stava sempre in casa e che si definiva albero -monaco mi manca e i discorsi di ieri e di oggi su alberi e Agro hanno fatto riemergere cose che pensavo chiuse. Queste cose riemerse le racconto a mio modo. Un albero ho scoperto che comunica con il creato. Non sto a raccontare come, dico solo questo: rispetto a noi che comunichiamo muovendoci sempre e agitandoci a dismisura, un albero comunica rimanendo fermo e stabile. Può stare lì per 100, 200, 300 anni ma comunica con tutto e tutti. Noi nei pochi anni della nostra esistenza siamo in perenne movimento. Una delle cose di cui sento veramente l’importanza, ma anche tutta la fatica, è la capacità di stare stabile e di comunicare a partire dalla mia stabilità. Io gioco invece la mia capacità di comunicare a partire dal mio muovermi e cambiare continuamente. Questa della solidità dell’albero sarà la mia grande sfida del futuro. Così era don Roberto. Un albero stabile per molta gente, un albero stabile che sapeva comunicare con tutti. E poi gli alberi mi rimandano l’arte della pazienza e dell’attesa. Pensate quanti pazienti anni si porta dentro un albero per crescere, quanto è in grado di attendere la primavera, quanto è lunga la pazienza per concedere un ramo per un nido, oppure quanta è la pazienza delle radici che crescono sottoterra. Io vorrei fare tutto e subito e poi quando ho fatto tutto e subito mi accorgo di aver combinato disastri e di non essere stato in grado di attendere e di pazientare. Un albero che mi insegna attesa, pazienza e stabilità: è come una sfida per il mio futuro, una responsabilità per il domani, per un per sempre